Beata Speranza di Gesù (María Josefa Alhama Valera), vergine e fondatrice

María Josefa Alhama Valera nacque a Santomera, nella provincia spagnola di Murcia, il 30 settembre 1893. Era la prima dei nove figli di José Antonio, bracciante agricolo, e María del Carmen, casalinga.

Crebbe nella povertà della famiglia, ma si dimostrò molto intelligente. Questo suscitò il suggerimento di un vicino di casa, o per meglio dire della baracca in cui abitava, di affidarla al parroco di Santomera, don Manuel Aliaga: i genitori acconsentirono.

Maria Josefa andò quindi a stare dal parroco che viveva con le proprie due sorelle. Lì ricevette un po’ d’istruzione senza frequentare nessuna scuola e imparò i lavori domestici. Rimase con loro fino ai 21 anni, nel 1914, quando partì per farsi religiosa.

Fece una prima esperienza in un istituto di suore addette agli ammalati, ma non ebbe esito positivo. In seguito, su consiglio del vescovo di Murcia, entrò tra le Figlie del Calvario, un Istituto di semiclausura, fondato nel 1863. Il 15 agosto 1916 professò i voti religiosi, assumendo il nome di suor Speranza di Gesù Agonizzante.

L’Istituto, tuttavia, presentava incerte prospettive per il futuro: a parte suor Speranza, le altre sette religiose erano tutte anziane. Perciò, nel 1921, si decise per una fusione con le religiose dell’Immacolata o Missionarie Claretiane, fondate nel 1855 da sant’Antonio Maria Claret, anch’esse dedite all’educazione cristiana.

Dopo un corso di Esercizi Spirituali, il 19 novembre 1921, cinque suore emisero i voti perpetui. Fra di esse, suor Speranza di Gesù Agonizzante, che divenne suor Speranza di San Giacomo. Trascorse in questa Congregazione nove intensi anni, svolgendo diverse mansioni: fu sacrestana, portinaia, economa, assistente delle bambine.

In quegli anni si accentuarono in lei fenomeni non comuni, che attiravano l’attenzione delle consorelle e di personalità spagnole ed estere. Per questa ragione, fu affidata alla guida dei più noti direttori spirituali dell’epoca.

Sin da quando aveva dodici anni ebbe in visione santa Teresa del Bambino Gesù, che l’esortava a diffondere nel mondo la devozione all’Amore Misericordioso, a cui santa Teresa stessa si era offerta vittima.

Una volta diventata religiosa, a partire dagli anni ’20 del secolo scorso, suor Speranza collaborò con il domenicano padre Juan González Arintero a diffondere questa devozione. Nei suoi scritti usava lo pseudonimo di “Sulamitis” (in riferimento al Cantico dei Cantici).

 

Trasferita nella casa di Vicalvaro-Madrid dal 30 novembre 1921, nell’anno successivo suor Speranza cominciò ad avere problemi di salute e fu più volte in punto di morte.

Per poter svolgere, senza restrizioni, la sua missione verso i poveri, con l’aiuto di alcuni benefattori, aprì il collegio di “Nuestra Señora de la Esperanza” (Nostra Signora della Speranza) a Madrid in Calle del Pinar, ma poi, alla fine del 1930, consigliata dal suo direttore spirituale, lasciò le Missionarie Claretiane e diede vita a una nuova congregazione.

Nel Natale del 1930, nella povertà più assoluta, ebbe inizio in forma privata la fondazione delle suore Ancelle dell’Amore Misericordioso. Madre Speranza di Gesù, come ormai era nota, aprì nel 1931 il primo collegio a Madrid, a cui, con ritmo impressionante, seguirono altre case in diverse regioni della Spagna.

Lei e le compagne, che nel frattempo si erano aggiunte, annunciavano l’Amore Misericordioso attraverso la carità, dedicandosi anche all’assistenza domiciliare dei molti poveri e all’accoglienza di anziani e disabili. Il 6 gennaio 1935 le Ancelle divennero una congregazione di diritto diocesano, con decreto del vescovo di Vitoria.

Nel maggio 1936 madre Speranza si recò a Roma insieme a una insigne benefattrice: aprì una casa, presa in affitto, in via Casilina 222, una zona delle più povere della capitale italiana.

Negli anni che seguirono, dal 1936 al 1941, mentre in Spagna infuriava la guerra civile, anche madre Speranza visse una sorta di martirio incruento. La sua congregazione trovò infatti l’opposizione di vescovi e sacerdoti spagnoli, che si estese anche fra le stesse suore: alcune giunsero ad accusarla e calunniarla, invocando la sua rimozione da superiora generale.

A partire dal 6 agosto 1940, per tre anni, madre Speranza fu interrogata dal Sant’Uffizio per rispondere sull’ortodossia della dottrina dell’Amore Misericordioso, sulla sua condotta e sulla veridicità e natura dei particolari fenomeni a lei attribuiti.

Il 10 aprile 1941 il Sant’Uffizio accolse la congregazione sotto la sua diretta protezione, lasciando a madre Speranza il titolo di superiora generale e la possibilità di formare le suore, mentre alla Vicaria Generale, venne affidato il governo dell’Istituzione.

Madre Speranza accolse il provvedimento con spirito di sottomissione e ubbidienza, esortando le sue figlie a fare altrettanto. Solo nel Capitolo del 1952 fu nuovamente eletta superiora generale e tale rimase fino al 1976, quando venne nominata madre generale “ad honorem”.

Libera da responsabilità e scagionata dalle accuse, durante la seconda guerra mondiale, intensificò la diffusione del messaggio dell’Amore Misericordioso. Avviò un laboratorio di cucito per aiutare con i proventi i bisognosi e per accogliere gratuitamente molti bambini poveri.

Accolse i rifugiati politici, nascose nei sotterranei i soldati allo sbando, sfamò chi aveva perso tutto. Infine aprì una nuova mensa, dove giunse ad accogliere oltre mille persone al giorno.

Il 15 agosto 1951. realizzando una sua speciale ispirazione, avvertita fin dal 1927, madre Speranza fondò la congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso: il loro indirizzo specifico doveva essere quello di sostenere i sacerdoti del clero secolare in spirito di comunione.

Tre giorni dopo, il 18 agosto 1951, madre Speranza si trasferì a Collevalenza, in provincia di Perugia e diocesi di Orvieto-Todi.

A Collevalenza ebbe un’ulteriore ispirazione, ovvero far costruire un santuario dedicato all’Amore Misericordioso, come segno tangibile della sua più profonda intuizione spirituale: Dio non è, secondo le sue parole, «un giudice severo ma un Padre pieno di amore e di misericordia che non tiene in conto le debolezze dei suoi figli, le dimentica e le perdona».

Lì madre Speranza accoglieva e riceveva più di cento persone al giorno, ascoltandole una alla volta, consolandole e invitandole ad amare il «buon Gesù», come lo chiamava lei.

Accanto al santuario madre Speranza fece scavare un pozzo, la cui acqua alimenta tuttora una serie di vasche: per questa ragione, Collevalenza divenne famosa alla stregua del Santuario di Nostra Signora di Lourdes.

Prima di morire, l’8 febbraio 1983, poté incontrare personalmente il Papa: san Giovanni Paolo II, infatti, si recò il 22 novembre 1981 a visitare il santuario di Collevalenza. Era la sua prima uscita pubblica dopo l’attentato del 13 maggio precedente.

A fronte della fama di santità che già in vita aveva circondato madre Speranza, le congregazioni delle Ancelle e dei Figli dell’Amore Misericordioso domandarono l’apertura della sua causa di beatificazione e canonizzazione, per l’accertamento delle virtù eroiche, una volta trascorsi i cinque anni previsti dalle norme canoniche..

 

Lo stesso giorno nel Martirologio Romano, la Chiesa commemora:

San Girolamo Emiliani, che, dopo una giovinezza violenta e lussuriosa, gettato in carcere dai ne- mici, si convertì a Dio; si dedicò, quindi, appieno, insieme ai compagni radunati con lui, a tutti i miserabili, specialmente agli orfani e agli infermi; fu questo l’inizio della Congregazione dei Chierici Regolari, detti Somaschi; colpito in seguito dalla peste mentre curava i malati, morì a Somasca vicino a Bergamo.

Santa Giuseppina Bakhita, vergine, che, nata nella regione del Darfur in Sudan, fu rapita bambina e, venduta più volte nei mercati africani di schiavi, patì una crudele schiavitù; resa, infine, libera, a Venezia divenne cristiana e religiosa presso le Figlie della Carità e passò il resto della sua vita in Cristo nella città di Schio nel territorio di Vicenza prodigandosi per tutti.

– Ad Alessandria d’Egitto, commemorazione di santa Cointa, martire, alla quale i pagani sotto l’imperatore Decio volevano imporre di adorare gli idoli; e poiché ella, detestandoli, si rifiutava di farlo, le legarono i piedi e così costretta la trascinarono per le piazze della città, straziandola in un orrendo supplizio.

– A Pavia, sant’Invenzio, vescovo, che si adoperò strenuamente per il Vangelo.

– Commemorazione dei santi monaci martiri del monastero di Dio a Costantinopoli, che, per difendere la fede cattolica, avendo portato una lettera del papa san Felice III contro Acacio, furono uccisi con grande crudeltà.

– In Bretagna, san Giacúto, abate, ritenuto fratello dei santi Vinvaleo e Guetnóco: fondò un monastero vicino al mare, che da lui poi prese il nome.

– A Milano, deposizione di sant’Onorato, vescovo, che, sotto la minaccia dell’invasione longobarda, mise in salvo gran parte della popolazione cercandole rifugio a Genova.

– A Besançon in Burgundia, nell’odierna Francia, san Nicezio, vescovo.

– A Verdun in Francia, san Paolo, vescovo, che, divenuto monaco, eletto poi alla Chiesa di Verdun, promosse il de- coro del culto divino e la vita comunitaria dei canonici.

– Ad Albano nel Lazio, beato Pietro, detto Igneo perché passato illeso nel fuoco, monaco di Vallombrosa e poi vescovo di Albano, che si dedicò senza posa al rinnovamento della disciplina ecclesiastica.

– Presso Muret nel territorio di Limoges in Aquitania, in Francia, santo Stefano, abate, che, fondatore dell’Ordine di Grandmont, affidò ai chierici la lode divina e la contemplazione e ai soli fratelli laici la gestione delle incombenze temporali da compiere secondo carità.

– A Savigliano in Piemonte, beata Giuseppina Gabriella Bonino, vergine, fondatrice della Congregazione religiosa della Santa Famiglia di Nazareth per l’educazione degli orfani e l’assistenza ai poveri ammalati.

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