San Felice da Cantalice, frate Cappuccino

Nato nel minuscolo centro agricolo di Cantalice (Rieti) nel 1515, Felice Porro entrò tra i cappuccini tra la fine del 1543 e l’inizio del 1544 e, compiuto l’anno di noviziato nel convento di Anticoli di Campagna (l’odierna Fiuggi), il 18 maggio 1545 emise la professione dei voti religiosi nel conventino di Monte San Giovanni, dove ancora oggi si conserva il suo testamento, rogato il 12 aprile 1545.

Perciò egli appartiene alla prima generazione di cappuccini, tra i quali venne non dalla famiglia degli Osservanti o da altro Ordine religioso, bensí dal “secolo”. Si fece frate subito dopo la triste defezione di Bernardino Ochino (avvenuta nel mese di agosto del 1542), allorché i poveri cappuccini venivano incriminati pubblicamente di eresia, e tutto lasciava temere che dovessero essere soppressi.

Nondimeno, dalle parole dello stesso fra Felice veniamo a conoscere che cosa, in quel tristissimo frangente, il popolo cristiano – non i persecutori oppure alcuni impiegati della curia romana! – pensasse della vita e della religiosità dei cappuccini. Infatti, ad un cugino agostiniano, che lo esortava a seguirlo nel suo Ordine, Felice rispose che, se non si fosse potuto fare cappuccino, avrebbe preferito restare nel secolo. Dal che si deve arguire che, nonostante le persecuzioni e le calunnie, la Riforma cappuccina era altamente stimata.

Sembra superfluo insistere nel ricordare tutta una serie di aneddoti pittoreschi che caratterizzano la vita di fra Felice. Tra essi vanno certamente annoverati gli incontri e lo scambio di lepide battute con Sisto V, san Filippo Neri, il futuro cardinale Cesare Baronio, con san Carlo Borromeo, gli alunni del Collegio Germanico o le dame della nobiltà romana, alla cui porta bussava in cerca di elemosina. Tutte cose risapute, come pure sono ben note le canzonette da lui cantate per le case e per le vie di Roma, le sue ammonizioni a prepotenti e peccatori, le profezie e i miracoli che i testimoni riferirono in occasione dei processi canonici e che Sisto V, nell’intento di abbreviare i tempi della sua canonizzazione, si diceva pronto a confermarli con il giuramento.

Va comunque sottolineato che, delle cose meravigliose attribuite a fra Felice ancor vivente, testimoniarono quasi unicamente gli estranei all’Ordine cappuccino: i frati, o le ignoravano o non giudicarono opportuno raccontarle.

 

Ma, se dalla vita di fra Felice si tolgono gli aneddoti, i detti ingenui e sapidi, i miracoli e le profezie, ben poco rimane da narrare. Egli infatti, dopo aver trascorso i primi quattro anni della sua vita religiosa nei conventi di Anticoli, Monte San Giovanni, Tivoli e della Palanzana (Viterbo), per il resto dei suoi giorni dimorò a Roma (1547-1587), dove giornalmente mendicò dapprima il pane (fino al 1572) e poi, fino alla morte, il vino e l’olio per i suoi frati. I cappuccini che vissero a gomito con lui, lo ritenevano un buon religioso come tanti altri, e perciò si stupirono grandemente nel vedere l’interminabile processione di gente che accorreva a venerare il suo cadavere e che – insieme a uomini e dame della nobiltà romana, a cardinali e allo stesso Sisto V – proclamava i suoi miracoli e la sua santità.

Specialmente nei primi processi, i frati si limitarono a raccontare come fra Felice occupasse il suo tempo nella vita di ogni giorno. Per questo, noi oggi conosciamo quello che egli faceva in ogni momento della sua operosissima giornata: quando pregava (di giorno e di notte), si flagellava, andava per l’elemosina, dava consigli, visitava i malati in convento e fuori, confezionava rozze crocette per i devoti che gliele chiedevano.

Perciò, nei processi più antichi sono pochissimi i miracoli narrati; al contrario, si indulge a descrivere quella che era la vita quotidiana di Felice, che poi, pur con le debite eccezioni, era il modo di vivere dei cappuccini nella seconda metà del Cinquecento. Ognuno può rendersene conto dando una scorsa all’indice delle cose, dei luoghi e delle persone che correda l’edizione critica dei processi di beatificazione e canonizzazione di fra Felice, dove ben venti fittissime colonne riguardano il Santo.

In questo modo ci è stata trasmessa l’immagine d’un modello della vita cappuccina, in modo concreto e dettagliato. Fra Felice incarnò alla perfezione ciò che le costituzioni prescrivevano, non servilmente ma nella libertà del suo carisma. E con ciò stesso divenne un modello da imitare, e di fatto imitato.

Mentre era ancora in vita, fra Felice aveva insegnato – con modi non sempre garbati e dolci! – ad alcuni frati a pregare e ad andare per l’elemosina. Dopo morte, per molti divenne un modello. I testimoni che nel 1587 avevano riferito circa la sua vita e le sue virtù, nei processi celebrati a distanza di venti o trent’anni raccontarono cose meravigliose, taciute nel 1587. Come mai? Inventarono forse delle favole? No; ma, col passare degli anni, avevano meglio compreso il significato d’una vita che, mentre si svolgeva sotto i loro occhi, era loro sembrata del tutto ordinaria e per nulla diversa da quella di tanti altri frati.

Anche se confinato all’ultimo posto, fra Felice era nondimeno vissuto per quarant’anni a Roma, nel convento principale dell’Ordine, sede del vicario generale. Lo avevano conosciuto tanti frati illustri, specialmente in occasione dei capitoli generali. Bernardino da Colpetrazzo nota che, nel capitolo del 1587, a motivo degli eventi che seguirono la morte di fra Felice, i frati capitolari tralasciarono quasi del tutto i sermoni soliti a farsi in detta occasione, dal momento che fra Felice aveva predicato più che abbastanza con la sua santa morte. E furono precisamente i capitolari, quelli che portarono nelle varie province la notizia delle cose meravigliose allora verificatesi. Furono subito messe in circolazione “vite” e immagini di Felice, cosí come poi saranno ovunque solennizzate la sua beatificazione (1625) e canonizzazione (1712).

 

Lo stesso giorno nel Martirologio Romano, la Chiesa commemora:

San Giovanni I, papa e martire, che, mandato dal re ariano Teodorico a Costantinopoli presso l’imperatore Giustino, fu il primo tra i Romani Pontefici a celebrare in quella Chiesa il sacrificio pasquale; tornato di lì, fu vergognosamente arrestato e gettato in carcere dal medesimo Teodorico, cadendo a Ravenna vittima per Cristo Signore.

– A Spalato in Dalmazia, nell’odierna Croazia, san Felice, martire durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano.

– In Egitto, san Dioscoro, martire, che, figlio di un lettore, dopo molti generi di supplizi, portò a compimento il proprio martirio con la decapitazione.

– Ad Alessandria sempre in Egitto, santi Potamone, Ortasio, Serapione, sacerdoti e i loro compagni, martiri.

– Ad Ankara in Galazia, nell’odierna Turchia, santi martiri Teódoto e Tecúsa, sua zia, Alessandra, Claudia, Faina, Eufrasia, Matrona e Giulitta, vergini; queste ultime furono dapprima costrette dal governatore alla prostituzione e poi immerse in una palude con dei massi legati al collo.

– Nel territorio di Argovie nell’odierna Svizzera, beato Burcardo, sacerdote, che, parroco del villaggio di Beinwil, si dedicò assiduamente all’impegno pastorale verso il gregge a lui affidato.

– A Uppsala in Svezia, sant’Eric IX, re e martire, che durante il suo regno si prodigò nel governare con saggez- za il popolo e nel tutelare i diritti delle donne; mandò in Finlandia il vescovo sant’Enrico per diffondervi la fede di Cristo e, infine, aggredito mentre partecipava alla celebra- zione della Messa, cadde pugnalato per mano dei suoi nemici.

– A Tolosa sulla Garonna in Francia, beato Guglielmo, sacerdote dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino.

– A Mergentheim in Germania, beata Blandina (Maria Maddalena) Merten, vergine dell’Ordine di Sant’Orsola, che unì alla vita contemplativa l’impegno nella formazione umana e cristiana delle ragazze e degli adolescenti.

– Nel campo di prigionia di Dachau vicino a Monaco di Baviera in Germania, beato Stanislao Kubski, sacerdote e martire, che, in tempo di guerra, rinchiuso in una camera a gas rese lo spirito per Cristo.

– In località Hartheim vicino a Linz in Austria, beato Martino Oprzadek, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori e martire, che, di nazionalità polacca, nello stesso tempo e allo stesso modo del precedente raggiunse il regno celeste.

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