San Giuseppe, Lavoratore

Fabbro, falegname, carpentiere. San Giuseppe era tutto questo – come insegnano i Vangeli – oltre a essere lo sposo di Maria e il padre terreno di Gesù. Con la sua vita di onesto lavoratore, San Giuseppe nobilita il lavoro manuale con il quale mantiene la sua Santa Famiglia e partecipa al progetto della salvezza.

Così viene chiamato nelle Scritture, con l’appellativo “il Giusto”, che nel linguaggio biblico vale a dire chi ama e rispetta la legge in quanto espressione della volontà di Dio. Giuseppe lo fa. Discendente della Casa di Davide, non è assolutamente in età avanzata quando si fidanza con Maria. E, come la sua sposa, anche lui dice il suo “sì” a un angelo, quello che lo visita in sogno per rassicurarlo sulla gravidanza di Maria, in quanto frutto dello Spirito Santo. È il nascondimento la sua caratteristica, il suo farsi da parte. Quando Gesù inizia la sua vita pubblica, alle nozze di Cana, il Nuovo Testamento non lo cita più: probabilmente è morto, ma non sappiamo né dove né quando, né tantomeno sappiamo dove sia sepolto.

Come quei padri che insegnano il proprio lavoro ai figli, così fa anche Giuseppe con Gesù. Egli stesso, più volte, viene chiamato nei Vangeli “il figlio del carpentiere” oppure “del legnaiuolo”. Più di tutti, quindi, San Giuseppe rappresenta la dignità del lavoro umano che è dovere e perfezionamento dell’uomo che così esercita il suo dominio sul Creato, prolunga l’opera del Creatore, offre il suo servizio alla comunità e contribuisce al piano della salvezza. Giuseppe ama il suo lavoro. Non si lamenta mai della fatica, ma da uomo di fede la eleva a esercizio di virtù, sa essere sempre contento perché non ambisce alla ricchezza e non invidia i ricchi: per lui il lavoro non è un mezzo per soddisfare la propria cupidigia, ma solo strumento di sostentamento per la sua famiglia. Poi, come viene prescritto agli ebrei, il sabato osserva il riposo settimanale e prende parte alle celebrazioni. Non deve stupire questa concezione nobile del lavoro più umile, quello manuale: già nell’Antico Testamento, infatti, Dio viene simboleggiato di volta in volta come vignaiolo, seminatore, pastore.

Fu istituita ufficialmente da Pio XII il Primo Maggio del 1955 per aiutare i lavoratori a non perdere il senso cristiano del lavoro così espresso, ma già Pio IX aveva in qualche modo riconosciuto l’importanza di San Giuseppe come lavoratore quando proclamò il Santo patrono universale della Chiesa. Il principio del lavoro come mezzo per la salvezza eterna sarà ripreso anche da Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Laborem Exercens, in cui lo chiama “il Vangelo del lavoro”. Sembra, poi, che anche il card. Roncalli – futuro Giovanni XXIII – eletto al soglio di Pietro avesse pensato di farsi chiamare Giuseppe, tanto era devoto al Santo padre terreno di Gesù. Infine, devoti di San Giuseppe sono stati anche molti altri Santi vissuti dopo di lui, come Santa Teresa d’Avila.

 

Lo stesso giorno nel Martirologio Romano, la Chiesa commemora:

san Geremia, profeta, che, al tempo di Ioiakím e Sedecía, re di Giuda, preannunciando la distruzione della Città Santa e la deportazione del popolo, patì molte persecuzioni; per questo la Chiesa ha visto in lui la figura del Cristo sofferente. Predisse, inoltre, il compimento della nuova ed eterna Alleanza in Gesù Cristo, per mezzo del quale il Padre onnipotente avrebbe scritto nel profondo del cuore dei figli di Israele la sua legge, perché egli fosse il loro Dio ed essi suo popolo.

– Nel territorio di Viviers in Francia, sant’Andéolo, martire.

– Nella Spagna meridionale, commemorazione dei santi Torquato, vescovo di Guadix e di altri sei vescovi di diverse città: Ctesifonte di Verja, Secondo di Ávila, Indalezio di Torre de Villaricos, Cecilio di Elvira, Esichio di Rocadillo ed Eu- frasio di Andujar del Vejo.

– Ad Auxerre in Francia, sant’Amatore, vescovo, che si adoperò per estirpare dalla sua città le superstizioni pagane e vi istituì il culto dei santi martiri.

– Ad Auch nella regione dell’Aquitania, in Francia, sant’Orienzo, vescovo, che cercò di sradicare le usanze pagane dalla sua città e di pacificare i Romani con il re visigoto di Tolosa.

– In Bretagna, in Francia san Brióco, vescovo e abate, che, nato in Galles, fondò un monastero sulla costa bretone, a cui fu poi concessa la dignità di sede episcopale.

– A Saint-Maurice-en-Valais nella Rezia, nell’odierna Svizzera, deposizione di san Sigismondo, che, re dei Burgundi, convertitosi dall’eresia ariana alla fede cattolica, istituì in questo luogo un coro di monaci che intonava ininterrottamente inni davanti al sepolcro dei martiri, espiò il delitto commesso con la penitenza, le lacrime e i digiuni e trovò la morte nel territorio di Orléans affogato dagli avversari in un pozzo.

– Sull’isola di Nanteuil in Bretagna, san Marcolfo, eremita, poi monaco e abate di quel monastero.

– A Llanelwy in Galles, sant’Asafo, abate e vescovo della sede poi insignita del suo nome.

– A Gap in Provenza, in francia, sant’Arigio, vescovo, celebre per la sua pazienza nelle avversità, per lo zelo contro i simoniaci e per la carità verso i monaci romani mandati in Inghilterra.

– Nel territorio di Montauban nella Gallia narbonense, nell’odierna Francia, transito di san Teodardo, vescovo di Narbonne, che restaurò la sua cattedrale e si distinse per il fervore nella disciplina; ammalatosi, si ritirò in monastero, dove rese la sua anima a Dio.

– A Fossombrone nelle Marche, beato Aldebrando, ve- scovo, insigne per austerità di vita e spirito apostolico.

– Ad Arouca in Portogallo, beata Mafalda, vergine, che, figlia del re Sancio I, rigettato il matrimonio per invalidità, si fece monaca e introdusse nel suo monastero la riforma ci- stercense.

– Presso Montaione in Toscana, beato Vivaldo da San Gimignano, eremita del Terz’Ordine di San Francesco, insigne per austerità di vita, pazienza e carità nella cura degli infermi.

– A Castello di Valle d’Istria, beato Giuliano Cesarello, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che girava per villaggi e piazze, seminando la parola di Dio e cercando di pacificare le fazioni cittadine.

– A Forlì, san Pellegrino Laziosi, religioso dell’Ordine dei Servi di Maria, che, in coerenza con la sua condizione di servo della Madre di Dio, rifulse nella devozione verso il Figlio Gesù e nella sollecitudine per i poveri.

– A Moncel nel territorio di Beauvais in Francia, beata Petronilla, vergine, prima badessa monastero delle Clarisse del luogo.

– Presso la rocca di So’n-Tâi nel Tonchino, ora Vietnam, sant’Agostino Schoeffler, sacerdote della Società per le Missioni Estere di Parigi e martire, che, gettato in carcere dopo aver esercitato per tre anni il suo ministero, su ordine dell’imperatore Tu’ Dú’c, nel campo di Nam Mñâu ottenne con la decapitazione la grazia del martirio, che ogni giorno aveva chiesto a Dio.

– Vicino alla città di Nam-Di.nh sempre nel Tonchino, san Giovanni Ludovico Bonnard, sacerdote della medesima Società e martire, che, condannato a morte per aver battezzato venticinque bambini, ricevette anch’egli con la decapitazione la corona del martirio.

– A Milano, san Riccardo (Erminio Filippo) Pampuri, che dapprima esercitò con generosità nel mondo la professione di medico e, entrato poi nell’Ordine di San Giovanni di Dio, dopo circa due anni riposò in pace nel Signore.

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