Sant’ Innocenzo di Tortona, vescovo

In quella che oggi è chiamata Valle Sant’Innocenzo, a pochi km da Tortona presso Rocca Grue, sorgevano all’inizio del IV secolo alcune ville di campagna, lungo il “flumen Coluber” l’attuale torrente Grue, appartenenti a nobili famiglie del patriziato tortonese. Una di queste, villa Floriaca, apparteneva alla famiglia cristiana dei Quinzio ed era luogo abituale di preghiera e di rifugio nelle persecuzioni, grazie anche all’altolocata posizione dei proprietari, forse appartenenti alla classa senatoria, e alla tacita compiacenza dei prefetti romani di Dertona. Quinzio con la moglie Innocenza, nobildonna lucchese, e il figlio Innocenzo, furono validi protettori dei cristiani tortonesi, finché nell’ultima tremenda persecuzione, scatenata dall’imperatore Diocleziano, anch’essi soccombettero. Il vescovo di Dertona san Giuliano e il suo diacono san Malliodoro, vennero arrestati a Villa Floriana; Giuliano fu decapitato fuori di Porta Ticinese sulla via per Viqueria, Malliodoro riuscì a nascondersi, mentre Innocenzo ventiduenne venne imprigionato e i suoi beni di famiglia confiscati: correva l’anno 303 e la Chiesa tortonese veniva squassata fin nelle fondamenta, come mai era avvenuto dai tempi della sua fondazione e la successione dei Vescovi si interruppe per quindici anni. Con la pace di Costantino e la fine delle persecuzioni nel 313, i cristiani rialzarono il capo e a Dertona tornò il vescovo nella persona del diacono Malliodoro, ordinato dal vescovo di Milano san Materno nel 318.

Nel frattempo Innocenzo si recò a Roma per riottenere dall’imperatore i beni paterni confiscatigli durante la persecuzione e ottenne per la sua causa l’appoggio del Papa san Silvestro, che lo ordinò diacono tenendolo alcuni anni presso di sé e poi lo invio a Tortona come vescovo, dopo averlo consacrato personalmente il 24 settembre 325. Nobile, circondato dall’aureola del martirio, accompagnato dalla benedizione del Papa e dalla protezione dell’imperatore, sant’Innocenzo ritorno alla terra natale, inaugurando una nuova primavera per la Chiesa tortonese. Si prodigò per confermare nella fede i Cristiani e per guadagnare a Cristo i pagani. Riorganizzò i fedeli della città e delle campagne e diede per la prima volta nella storia una definitiva fisionomia territoriale alla diocesi. Dopo avere fatto dono dei suoi beni di famiglia alla diocesi, si preoccupò di innalzare in Tortona i monumenti della fede cristiana, che finalmente poteva uscire con dignità alla luce del sole; edificò una grande basilica sul colle che sovrasta la città, presumibilmente nell’area occupata oggi dallo stadio, dedicandola ai Santi Sisto e Lorenzo come omaggio ai martiri della Chiesa di Roma. Questa chiesa giunse fino ai tempi moderni e andò distrutta soltanto nel 1609, dopo che fu inglobata nelle fortificazioni del castello e trasformata in polveriera dagli Spagnoli, a causa di un fulmine che diede fuoco alle polveri durante un violentissimo temporale; in essa trovò sepoltura il corpo dello stesso Innocenzo e servì da Cattedrale a partire dal X secolo. Successivamente edificò la chiesa dei Dodici Apostoli, e quella in onore del primo martire Santo Stefano, le cui fondamenta sono state individuate nell’area cittadina ora compresa tra le vie Sada, Zenone e piazza Malaspina. Alle pendici del colle che sovrasta la città, Innocenzo edificò il battistero e la chiesa di Santa Maria, che alcuni storici hanno voluto identificare come una precedente chiesa mariana nell’area dell’attuale chiesa di Santa Maria Canale. Per il battistero, di forma ottagonale, circondato da ventiquattro colonne di marmo, era necessario infatti un luogo ricco di acqua corrente, che permettesse il battesimo per immersione come era in uso nei primi secoli, e così il vescovo scelse una zona ricca di sorgenti e di rivi che scendevano dalle colline, ai piedi e non alla sommità del colle tortonese. Ancor’oggi la zona circostante la chiesa di Santa Maria Canale evoca nei nomi un’antica toponomastica legata all’acqua e ai suoi usi sia rituali che profani: la chiesa è popolarmente detta “La Canale”, la piazza sovrastante è indicata come “Il Lavello” a ricordo dei lavatoi pubblici di un tempo, mentre dove ora vi è l’istituto “Dante” sorgeva la chiesa di “San Giovanni in Piscina”. Nella chiesa di Santa Maria Innocenzo amava spesso officiare le divine liturgie e lì vi compì un singolare prodigio: chiese che gli venissero portate delle braci, necessarie per i sacri riti, e una donna di fede, Senatrice non avendo dove riporle, in uno slancio di generosità si mise le braci in grembo e senza danno, né di sé né degli abiti, le recò al vescovo. Sull’area della sinagoga, che fece demolire, costruì la Cattedrale fuori Porta Ticinese presso il luogo del martirio del vescovo della sua infanzia san Giuliano, sull’area all’incrocio dell’attuale via Emilia con la strada per Castelnuovo. Questo tempio funzionò fino al X secolo, quando venne abbandonato in seguito alle incursioni degli Ungari perché essendo fuori le mura non era più sicuro. Innocenzo aveva una sorella che prese, com’era costume dell’epoca lo stesso nome della madre, Innocenza; desiderosa di seguire anch’ella il Signore si consacrò alla preghiera e alla carità, vivendo in penitenza accanto al fratello vescovo. Per lei Innocenzo costruì un palazzo, sul colle dove ora sorge il convento dei Cappuccini, dotandolo di pozzi e acqua corrente, convogliandola attraverso un’ampia cisterna. Ad Innocenza si unirono presto altre donne pie che condividevano i suoi ideali e che formarono il nucleo di quello che alcuni secoli più tardi, quando la vita religiosa si era ormai affermata e organizzata nella Chiesa, diverrà il monastero di Sant’Eufemia.

La gloria più grande attribuita a Sant’Innocenzo dalla tradizione tortonese e quella del ritrovamento del corpo di San Marziano, il primo vescovo della città, evangelizzatore immediatamente a ridosso dell’età apostolica e martire nel 122. Il luogo della sua sepoltura, avvenuta in segreto ad opera del cavaliere romano san Secondo, che pochi giorni dopo incontrerà il martirio ad Asti, era rimasto ignoto per tre secoli. Innocenzo lo cercò con cura negli antichi cimiteri e nelle necropoli lungo le vie consolari, ma tutto fu vano: nessuna tomba rivelava la sepoltura del santo Martire, finché intervenne il Cielo. Il prete Giacomo stava officiando l’eucaristia nella chiesa di Santa Maria quando gli fu rivelato in visione il luogo del sepolcro di San Marziano, non lungo le vie che collegavano la romana Dertona a mezz’Europa, secondo la consuetudine latina, ma a lato di un polveroso viottolo, che scendeva tra gli orti e le sterpaglie fino allo Scrivia, sotto le fronde di un sambuco. Sant’Innocenzo corse subito sul luogo, portando con sé i diaconi Celso, che sarà poi suo biografo, e Gaudenzio; sotto le radici del sambuco vi era il sepolcro, povero e disadorno, coperto solo da una lastra di terracotta con l’iscrizione: “qui riposa il corpo di Marziano”. Allora radunò il clero e il popolo e al canto di inni e salmi aprirono la tomba, trovandovi le ossa del martire, la spugna con cui fu lavato il corpo e l’ampolla col sangue. Pieno di gioia per quella grazia soprannaturale, Innocenzo sostituì la primitiva tomba con un più degno sepolcro in pietra e sopra vi fece edificare una grandiosa basilica, che fu terminata in un anno e divenne nei secoli successivi la potente abbazia di San Marziano, visitata da re, papi e imperatori. Sant’Innocenzo morì il 17 aprile del 353, dopo aver retto per vent’otto anni la Chiesa tortonese e averla resa grande e florida, feconda di santità e salda nella fede, al punto che il suo successore, sant’Esuperanzio, fu uno dei più accesi nemici dell’eresia ariana, accanto a sant’Ambrogio e sant’Eusebio.

 

Lo stesso giorno nel Martirologio Romano, la Chiesa commemora:

– A Melitene nell’antica Armenia, santi martiri Pietro, diacono, ed Ermogene, suo servo.

– In Persia, passione di san Simeone bar Sabas, vescovo di Seleucia e Ctesifonte: arrestato e incatenato per ordine del re di Persia Sabor II per essersi rifiutato di adorare il sole e aver dato con libertà e fermezza testimonianza della sua fede in Gesù Cristo Signore, fu dapprima tenuto a marcire per qualche tempo in una prigione insieme a una folla di oltre cento compagni tra vescovi, sacerdoti e chierici di ordini di- versi; poi, nel venerdì della Passione del Signore, dopo che già tutti erano stati sgozzati con la spada sotto gli occhi di Simeone che esortava frattanto ciascuno di loro con coraggio, fu infine anch’egli decapitato.

– Parimenti si commemorano i moltissimi martiri, che, dopo la morte di san Simeone, in tutta la Persiamorirono per il nome di cristo trafitti con la spada per ordine del medesimo re Sabor II; tra questi sant’Ustazhad che, eunuco di corte e precettore dello stesso Sabor, subì il martirio nellareggia di Artaserse, fratello di Sabor, alle prime avvisaglie delle persecuzioni nella provincia dell’Adiabene, nel territorio dell’odierno Iraq.

– A Melitene nell’antica Armenia, sant’Acacio, vescovo, che, per aver difeso la retta fede nel Concilio di Efeso contro Nestorio, fu ingiustamente deposto dalla sua sede.

– A Vienne in Burgundia, nell’odierna Francia, san Pantágato, vescovo.

– Nell’isola di Eigg nelle Ebridi al largo della Scozia, santi Donnáno, abate, e cinquantadue compagni monaci, uccisi con il fuoco o con la spada dai pirati mentre celebravano la solennità della Pasqua.

– A Córdova nell’Andalusia in Spagna, santi martiri Elia, anziano sacerdote, Paolo e Isidoro, monaci di ancor giovane età, uccisi durante la persecuzione dei Mori per aver professato la fede cristiana.

– Nel monastero di Chaise-Dieu presso Clermont-Ferrand in Francia, san Roberto, abate, che radunò alcuni confratelli nello luogo stesso in cui viveva in solitudine, guadagnando molte anime al Signore con la parola della predicazione e con il suo esempio di vita.

– Nel monastero di Molesme in Francia, san Roberto, abate, che, alla ricerca di una vita monastica più semplice e austera, già instancabile fondatore e rettore di cenobi, nonché guida di eremiti e insigne riformatore della disciplina regolare, fondò un monastero cistercense, del quale fu primo abate e, ritornato poi a Molesme in qualità di abate, qui riposò in pace.

– A Perugia, beato Giacomo da Cerqueto, sacerdote dell’Ordine deli Eremiti di Sant’Agostino, che offrì un esempio di serena sopportazione delle infermità.

– A Pisa, beata Chiara Gambacorti, che, ancora giovane, rimasta vedova del marito, su esortazione di santa Caterina da Siena, fondò qui il primo monastero domenicano di stretta osservanza e, perdonati gli assassini del padre e dei suoi fratelli, governò le consorelle con prudenza e carità.

– A Madrid in Spagna, beata Marianna di Gesù Navarro de Guevara, vergine, che, superati i contrasti con il padre, vestì l’abito dell’Ordine della Beata Maria Vergine della Mercede, offrendo preghiere e penitenze per i poveri e gli oppressi.

– A Londra in Inghilterra, beato Enrico Heath, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori e martire, consegnato al carnefice a Tyburn sotto il re Carlo I solo perché sacerdote.

– A Sault nel Québec in Canada, beata Caterina Tekakwitha, vergine, che, nata tra gli Indiani nativi del luogo, fu battezzata nel giorno di Pasqua e, benché perseguitata da molte minacce e da vessazioni, offrì a Dio quella purezza che quando non era ancora divenuta cristiana si era già impegnata a conservare.

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