Santi Giovanni Pietro Neel, Martino Wu Xuesheng, Giovanni Zhang Tianshen e Giovanni Chen Xianheng, martiri
Jean-Pierre Néel fa parte della folta schiera di martiri che le Missioni Estere di Parigi hanno donato alla Chiesa, intenti nell’opera di evangelizzazione dei popoli asiatici non ancora cristiani. Questi nacque il 18 ottobre 1832 a Sainte-Catherine-sur-Riviere, nella diocesi di Lione. Manifestò ben presto ai genitori il desiderio di farsi sacerdote, sin dopo la prima comunione. Felice di questo suo desiderio, sua mamma lo mise nelle condizioni di poter apprendere le prime nozioni di latino presso il vicario d’Aubepin, per poi proseguire gli studi nei seminari di Montbrison ed Argentière. In entrambi i luoghi Jean-Pierre si rivelò, come testimoniarono unanimemente superiori e compagni, uno studente calmo e mite che faceva appena avvertire la sua presenza nella comunità. Durante gli anni di preparazione al sacerdozio il giovane ebbe l’ispirazione di farsi missionario e nel 1855 fece domanda di ammessione al seminario delle Missioni Estere di Parigi. La sua richiesta fu accolta e nel mese di ottobre partì dunque per la capitale francese.
Sua madre, che avrebbe preferito avere il figlio sacerdote in una parrocchia, alla notizia cadde gravemente malata, ma il figlio le scrisse in modo assai risoluto: “Mi ha fatto male il sapere che sei tuttora inconsolabile per la mia assenza… Povera madre! Quale follia ti ha dato alla testa? Tu, dunque, hai una troppo grande abbondanza, una troppo grande propensione di amore da non poterlo contenere: ma hai pure numerosi figli sui quali poterlo effondere. Possibile che sia tanto penosa la separazione momentanea da un figlio che il Signore t’ha richiesto per sé? Non torna questo utile a Lui come a te? E non ti accorgi che, cedendogli il figlio, tu fai un atto di carità? Se questo Dio, pieno di bontà, promette una ricompensa a chi saprà dare per amore suo un bicchiere d’acqua, quale ricompensa non devi riprometterti se saprai conformarti alla sua volontà?”. In un’altra lettera Jean-Pierre spiegò alla madre le profonde motivazioni che lo spingevano ad evangelizzare i popoli non ancora credenti: “Una sola di queste anime è più preziosa, è infinitamente più grande di tutto l’oro e di tutte le ricchezze della terra, perché tutte queste cose non sono costate a Dio che una parola, mentre quell’anima è costata le sofferenze e le ignominie della passione del suo diletto Figlio fino all’effusione di tutto il sangue”. Quando finalemnte, nell’aprile del 1858, ricevette l’ordinazione presbiterale, scrisse ancora alla mamma: “Prega perché Iddio mi conceda di ben comprendere e perfettamente adempiere i numerosi e gravi doveri inerenti a questo santo e augusto ministero, almeno quanto è possibile alla fragilità umana. Prega perché mi riempia con abbondanza di virtù apostoliche; perché possa ottenere quello zelo che trasporta, quella carità che consuma e infiamma il cuore dell’apostolo per la salvezza delle anime e la gloria del nome di Gesù. Pregalo, infine, perché benedica questo tuo figlio adesso e durante tutta la laboriosa esistenza che si apre davanti a lui”.
Il 29 agosto dello stesso anno Padre Néel s’imbarcò a Bordeaux per la città cinese di Canton, ove giunse dopo ben sette mesi di navigazione. Con altri compagni raggiunse la regione del Kouy-tcheou, dopo molte soste e mille difficoltà derivanti dall’anarchia che regnava in Cina a causa della guerra scoppiata con la Francia. A Kouy-yang, capitale della provincia, Jean-Pierre studiò la lingua e gli usi cinesi con tale applicazione da meritarsi in breve tempo un distretto da evangelizzare. La sua dolcezza non tardò a concuistare l’animo sia dei credenti che dei non credenti. Nel dicembre 1861, monsignor Faurie, vicario apostolico della regione, inviò il Néel a visitare una famiglia di Kia-cha-long che i catechisti avevano preparata al battesimo. Giunto nella città, il missionario trovò numerose altre famiglie pronte a convertirsi ed un buon numero di donne desiderose di accostarsi al cattolicesimo. I neofiti salirono rapidamente ad una cinquantina, tanto che le autorità locali, allarmate, minacciarono di farli arrestare. Monsignor Faurie attestò infatti a tal proposito: “Il generale Tien-Ta-jen, aveva inviato una lettera segreta a tutti i mandarini della provincia, eccitandoli a massacrarci ovunque ci trovassero, considerandoci come dei capi di ribelli e non come europei: solo a questo patto essi si sarebbero fatti un merito dinanzi a lui e avrebbero ottenuto una promozione”.
Verso la metà di febbraio del 1862, alcune spie delle autorità civili iniziarono ad aggirarsi per le vie di Kia-cha-long ed il capo della guardia nazionale fece uccidere un neofita, ma queste purtroppo non erano che le prime avvisaglie di un’imminente persecuzione. Domenica 16 febbraio Padre Néel scrisse al proprio vescovo: “Dovevo mettermi in cammino domani per la capitale, ma ecco che il demonio viene a turbare la mia piccola stazione; io resto sul posto per sostenere i miei neofiti, il più anziano dei quali, Giovanni Tchang, mio ospite, è stato battezzato questa mattina”. Due giorni dopo, verso le quattro del pomeriggio, un centinaio di guardie nazionali agli ordini dei mandarini a cavallo, entrarono nel villaggio e circondarono improvvisamente la casa del neofita Giovanni Zhang Tianshen, ove oltre al missionario alloggiavano anche il catechista Martino Wu Xuesheng, catechista e Giovanni Chen Xianheng: tutti e quattro furono arrestati ed ammanettati. L’abitazione fu abbandonata al saccheggio ed il missionario, con i capelli legati alla coda di un cavallo, venne trascinato con gli altri tre prigionieri sino alla vicina città di Kay-tcheou.
Martino Wu Xuesheng era nato a Chuchangbo nel 1815 circa da genitori cristiani. All’età di vent’anni si era sposato, ma la moglie poi lo aveva abbandonato. Martino ricorse ad ogni mezzo possibile per ricondurla sulla retta via ma, non riuscendo nel suo intento, d’intesa con i missionari si separò definitivamente da lei per dedicarsi alla catechizzazione, alla diffusione di libri religiosi ed alla ricerca di bambini morenti per somministrare urgentemente loro il battesimo.
Giovanni Zhang Tianshen, nato nel 1805 a Kia-cha-long, era un piccolo commerciante. Sposatosi due volte, ebbe una quindicina di figli che morirono quasi tutti in tenera età. Colpito dunque negli affetti più cari, aveva scelto lo stato dei bonzi e in seguito aveva aderito alla setta dei digiunatori, finchè finalmente un cristiano lo istruì nelle verità della fede cristiana ed egli, divenuto catecumeno, poté adoperarsi nel farle conoscere ai familiari ed agli amici.
Giovanni Chen Xianheng, nato da genitori pagani a Tchen-tou verso il 1820, all’età di trent’anni si era recato a Kouy-yang per affari di famiglia ed in seguito ad alcune conversazioni avute con i cristiani, decise di convertirsi. In principio prestò il suo servizio presso i missionari di Gan-chouen in qualità di farmacista e di battezzatore, ma in seguito fu inviato a Kia-cha-long in aiuto del Padre Néel.
Questi quattro integerrimi cristiani furono condotti a Kay-tcheou e subito sottoposti ad interrogatorio. Tra il mandarino ed il missionario francese si svolse questo serrato confronto: “Come ti chiami?” – “Qui mi chiamano Ouen: in francese il mio cognome è Néel”. – “Mettiti in ginocchio come gli altri” – “Non sono un cinese, sono venuto dalla Francia a predicare la religione, all’ombra del trattato concluso tra i nostri due imperi. Non m’inginocchierò perché sono un ospite e non un reo”. Un soldato colpì allora violentemente il sacerdote alle spalle con una sedia e questi cadde a terra, ma subito si risollevò sulle ginocchia per presentare il passaporto di cui era regolarmente munito. “Lo conosco, lo conosco!”, disse il mandarino, “Questo passaporto ti è stato rilasciato dal tuo governo e non dal nostro. Del resto, quello che importa è che rinunzi a questa religione sotto pena di morte”. – “Non ne parliamo neppure. Uccidetemi se vi piace”. – “Tra poco sarai esaudito. E voialtri, imbecilli, rinunziate alla vostra religione?” – “Mai, mai” risposero insieme gli altri tre prigionieri laici. Il mandarino redasse duqnue questa laconica sentenza: “Ho scoperto una cospirazione prima che scoppiasse e ne ho punito di morte gli autori”. Mentre i condannati stavano per avviarsi al luogo dell’esecuzione pregando con le mani legate dietro la schiena, furono anche spogliati delle loro vesti. I parenti di Giovanni Zhang Tianshen gli si strinsero attorno per scongiurarlo di apostare, ma egli rispose loro: “II mio padre spirituale non teme la morte: io morrò con lui”. Il carnefice, dopo che alla luce delle torce di bambù aveva decapitato il missionario e i due catechisti, risparmiò quest’ultimo, nella speranza che le promesse di beni terreni fattegli dagli amici lo inducessero a ritrattare, ma invece egli rispose: “Io non desidero altro all’infuori dell’eredità eterna del cielo”. Subì così anch’egli la sorte dei compagni e le loro teste furono poi sospese in alto sui bastioni della città, mentre i loro corpi finirono in pasto alle bestie feroci.
La Chiesa non ha però dimenticato questi servi fedeli sino all’effusione del sangue: Giovanni Pietro Neel, Martino Wu Xuesheng, Giovanni Zhang Tianshen e Giovanni Chen Xianheng furono beatificati dal Papa San Pio X l’11 aprile 1909 ed infine canonizzati da Giovanni Paolo II il 1° ottobre 2000 insieme ad un gruppo complessivo di 120 martiri in Cina.
Lo stesso giorno nel Martirologio Romano, la Chiesa commemora:
– In località Beth Lapat nel regno di Persia, passione dei santi Sadoth, vescovo di Seleucia, e centoventotto compagni, martiri: sacerdoti, chierici e vergini consacrate, rifiutatisi di adorare il sole, furono messi in prigione, sottoposti per lunghissimo tempo a crudeli torture e infine trucidati per ordine del re.
– A Toledo in Spagna, sant’Elladio, che, dapprima amministratore della corte regia e dello stato, divenne poi abate di Agalia e, elevato infine alla sede episcopale di Toledo, diede eccellente esempio della sua carità.
– A Costantinopoli, san Tarasio, vescovo, che, insigne per pietà e dottrina, aprì il Concilio Niceno II, nel quale i Padri difesero il culto delle sacre immagini.
– Nel monastero di Centule nel territorio di Amiens in Francia, sant’Angilberto, abate, che, abbandonati gli incarichi di palazzo e militari, con il consenso della moglie Berta, che prese lei pure il sacro velo, si ritirò a vita monastica e resse felicemente il cenobio di Centule.
– A Coimbra in Portogallo, san Teotonio, che si recò due volte in pellegrinaggio a Gerusalemme e, rifiutata la custodia del Santo Sepolcro, tornato in patria fondò la Congregazione dei Canonici regolari della Santa Croce.
– A Roma, beato Giovanni da Fiesole, detto Angelico, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che, sempre unito a Cristo, espresse nelle sue pitture ciò che contemplava nel suo intimo, in modo tale da elevare le menti degli uomini alle realtà celesti.
– A Londra in Inghilterra, beato Guglielmo Harrington, sacerdote e martire, che, originario della contea di York, condannato a morte sotto la regina Elisabetta I per aver ricevuto il sacerdozio e averlo esercitato in Inghilterra, ottenne a Tyburn la corona del martirio.
– Sempre presso Londra, beato Giovanni Pibush, sacerdote e martire, che, più volte e a lungo messo in carcere e infine condannato a morte per il suo sacerdozio sotto la medesima regina, fu impiccato a Southwark e sventrato con la spada.
– Nella città di Wuchang nella provincia dello Hubei in Cina, san Francesco Régis Clet, sacerdote della Congregazione della Missione e martire, che per trent’anni annunciò il Vangelo tra grandissime difficoltà e per questo dopo una dura prigionia, ingannato da un apostata, venne strangolato per il nome di Cristo.
– A Bergamo, beata Geltrude (Caterina) Comensoli, vergine, che fondò una Congregazione di religiose per l’adorazione del Santissimo Sacramento e la formazione della gioventù.
– A Rosica in Polonia, beato Giorgio Kaszyra, sacerdote della Congregazione dei Chierici Mariani e martire, che, nell’infuriare della guerra, dato alle fiamme dai persecutori della fede, morì per Cristo Signore.