San Marcellino di Ancona, vescovo

Marcellino è il primo nome storicamente certo nella serie dei vescovi anconitani. Di lui parla san Gregorio Magno nei suoi Dialoghi attribuendogli chiaramente l’episcopato di Ancona, senza precisare, tuttavia, il tempo in cui occupò questa sede. Ma si può accettare senza dubbio la tradizione locale, che pone il suo governo pastorale nella seconda metà del secolo V, dato che san Gregorio parla soltanto di vescovi dei secoli V e VI, che egli stesso conobbe o di cui ebbe notizia da testimoni diretti. Non sappiamo invece quanto valore abbia la tradizione che lo ritiene appartenente alla famiglia dei Boccamaiori, ora estinta, ma certamente fra le più antiche della città.

San Gregario tiene in gran concetto la figura del vescovo Marcellino di cui afferma: «Vir vitae venerabili Marcellinus fuit» e di cui loda la santità, illustrata da opere miracolose. Tra queste si narra il suo intervento in soccorso della città di Ancona, che minacciava di essere distrutta da un grave incendio. Mentre la moltitudine invano cerca di estinguere il fuoco che ha già divorato parte dell’abitato, il santo vescovo, malato di podagra, si fa portare dai suoi familiari nel luogo ove le fiamme sono più violente e queste al suo avvicinarsi si ritirano improvvisamente e si spengono.

Alla memoria del vescovo è legato un importante libro liturgico, che egli, stando alla tradizione, avrebbe tenuto in mano al momento di operare il miracolo, attribuendosi al contatto delle fiamme la consumazione e l’annerimento ai margini dei fogli in pergamena. Certo è che esso è stato considerato ab immemorabili come preziosa reliquia del santo e come tale fu usato a lungo, non solo a scopi liturgici, ma anche come oggetto sacro, che i fedeli, desiderosi di grazie, toccavano e baciavano; e questa forse potrebbe essere la ragione più plausibile del suo grave deperimento. In realtà si tratta di un documento liturgico, d’inestimabile valore storico, culturale e artistico: i fogli superstiti riordinati, grazie al restauro curato dalla Biblioteca Vaticana nel 1910 per interessamento dell’allora titolare, monsignor Achille Ratti, contengono vari passi dei Sinottici, da leggersi nelle domeniche e festività dell’anno e sono in caratteri onciali con brevi didascalie in scrittura longobarda. Le lettere iniziali presentano tracce di miniatura in giallo oro.

Pur avendo qualche studioso affacciato l’ipotesi che il codice Evangeliario di Ancona, per i suoi caratteri paleografici, potrebbe risalire al secolo VII o VIII, non esistono motivi validi per discostarsi dalla tradizione locale, che lo considera un prezioso ricordo del vescovo Marcellino.

Il culto di san Marcellino nella Chiesa anconitana risale certamente a tempi remotissimi: l’invocazione Sancte Marcelline si ritrova accanto a quella di altri santi locali nei frammenti di un antichissimo rituale della città. Il suo corpo, che prima era venerato nella vetusta cattedrale, dedicata a santo Stefano, nel 1097 venne traslato nella nuova cattedrale sul Guasco, come si leggeva nell’iscrizione di una rozza arca di pietra. Durante una ricognizione del 1756, le sue ossa furono sistemate in un’artistica urna, presso la cripta dei santi protettori, ove si conservano anche al presente. La festa è celebrata il 9 gennaio e nel passato assumeva un carattere di particolare solennità, figurando il santo tra i compatroni della città. Anche nel Martirologio Romano è iscritto alla stessa data.

Benché non sia azzardato pensare che l’immagine di Marcellino figurasse nelle lastre graffite della cattedrale di san Ciriaco, che risalgono ai secoli XI e XII e in cui sono rappresentati altri santi locali, tuttavia la più antica raffigurazione superstite ci è data da una statua del secolo XIII, che, prima delle distruzioni della recente guerra, si trovava sul luogo ove si narrava avvenuto il miracolo dell’estinzione dell’incendio, presso la romantica Chiesa di san Pietro, distrutta dai bombardamenti aerei.

L’iconografia più recente consiste in una tavola del secolo XV, ove Marcellino è rappresentato con altri santi locali, davanti al trono della Vergine, e nei resti di una statua in legno pure del secolo XV. Il santo è sempre rappresentato in abiti pontificali, con in mano il libro del Vangelo aperto, ove sono effigiate le fiamme allusive al miracolo. La scena dello stesso fatto prodigioso è riprodotta anche in una faccia della custodia argentea del codice Evangeliario, pregevole lavoro di oreficeria del secolo XVII.

 

Lo stesso giorno nel Martirologio Romano, la Chiesa commemora:

– A Canterbury in Inghilterra, sant’Adriano, abate: nato in Africa, da Napoli raggiunse l’Inghilterra e con la sua ricca preparazione tanto nelle lettere sacre come in quelle profane istruì una moltitudine di discepoli nella scienza della salvezza.

– In Scozia, san Fillano, abate del monastero di Sant’An- drea, che, illustre per l’austerità della disciplina, passò la vita in solitudine.

– Sul monte Olimpo in Bitinia, nell’odierna Turchia, sant’Eustrazio, detto il Taumaturgo, abate del monastero di Abgar.

– A Thénézay nel territorio di Poitiers nell’Aquitania, in Francia, sant’Onorato di Buzançais: mercante di armenti, donava ai poveri il suo denaro e fu ucciso da alcuni furfanti che aveva rimproverato.

– A Certaldo in Toscana, beata Giulia della Rena, del Terz’Ordine di Sant’Agostino, che visse solo per Dio reclusa in un’angusta cella accanto alla chiesa.

– Ad Ancona, beato Antonio Fatati, vescovo, che si mostrò prudente e equanime in tutte le missioni affidategli dai Ro- mani Pontefici, austero con se stesso e generoso con i poveri.

– A Nancy in Francia, beata Maria Teresa di Gesù (Alessia) Le Clerc, vergine, che creò insieme a san Pietro Fourier la Congregazione delle Canoniche regolari di Nostra Signora, sotto la regola di sant’Agostino, per l’educazione della gioventù femminile.

– A Seul in Corea, sante martiri Agata Yi, vergine, i cui genitori furono essi pure coronati dal martirio, e Teresa Kim, vedova: in carcere per Cristo, dopo molte percosse, furono sgozzate.

– Vicino a Monaco di Baviera in Germania, nel campo di prigionia di Dachau, beati Giuseppe Pawlowski e Casimiro Grelewski, sacerdoti e martiri: in tempo di guerra, deportati dalla Polonia invasa da persecutori della fede, coronarono il martirio con il supplizio dell’impiccagione.

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