San Francesco Saverio, gesuita sacerdote

Francesco Saverio è stato, probabilmente, il più grande missionario della storia. Vissuto appena 46 anni e 8 mesi, compì in 10-11 anni un lavoro missionario incredibile. Nato cinquecento anni fa, il 7 aprile 1506, nel castello di Javier (o Xavier) nella Navarra (Spagna), a 15 anni si recò a Parigi per addottorarsi in filosofia all’ università della Sorbona. Di grande ingegno, compì gli studi in maniera brillante, ma, non avendo molti mezzi finanziari, fu costretto a dividere la stanza che l’università affittava agli studenti con altre due persone: un giovane della sua età, giunto dalla Savoia, Pietro Favre, e uno strano studente di 38 anni, basco come lui, Ignazio di Loyola. Francesco fu incaricato di dare ripetizioni di filosofia al nuovo arrivato; ma nutriva una tale antipatia per Ignazio che lasciò a Pietro Favre il compito di ripetergli la filosofia aristotelica.

A poco a poco, però, e con grande fatica Ignazio riuscì a conquistarlo al suo ideale di vita: consacrarsi a Dio e all’ apostolato. Così, il 15 agosto 1534, Francesco, insieme con Ignazio e altri cinque studenti della Sorbona, fece i voti di castità, di povertà evangelica e di recarsi in pellegrinaggio a Gerusalemme per convertire i turchi. Se ciò non fosse stato possibile, Francesco, Ignazio e gli altri compagni si sarebbero recati a Roma e si sarebbero offerti al papa per essere inviati da lui dovunque lo richiedesse il bene della Chiesa. Non essendo stato possibile raggiungere Gerusalemme, Francesco e i suoi compagni si recarono a Roma da papa Paolo III, che fu lieto di accoglierli, pensando di inviarli “in missione” in vari luoghi, in Italia e fuori d’ Italia. Prima di separarsi, essi decisero di costituire un Ordine religioso, che si sarebbe chiamato Compagnia di Gesù, ed elessero come superiore generale Ignazio.

Nel 1540 fu la volta di Francesco ad essere inviato in missione. Il re del Portogallo chiese a Paolo III due gesuiti per l’evangelizzazione delle Indie: con questo nome si indicavano i territori conquistati dai portoghesi in Asia. Essendo venuta a mancare all’ ultimo momento la persona designata, Ignazio chiese a Francesco di prenderne il posto. La risposta fu pronta: “Sì, eccomi”. Era il 14 marzo 1540. Il 15 marzo Francesco era in viaggio per Lisbona con il suo misero bagaglio. Il 7 aprile 1541, a 35 anni, partì dal Portogallo per le Indie. Aveva con sé una Bolla di Paolo III che lo nominava Nunzio apostolico in tutti i paesi asiatici. La circumnavigazione dell’ Africa, durata 13 mesi, fu estremamente penosa per la scarsezza di acqua potabile e di cibo, per il caldo insopportabile, per le bonacce – la nave rimase ferma 60 giorni nel Golfo della Guinea – e le tempeste intorno al Capo di Buona Speranza.

Goa, nell’ India, era la capitale dell’Impero portoghese in Asia. Francesco vi giunse il 6 maggio 1542 e stabilì nell’ ospedale della città il centro della sua attività, curando i malati, vittime del viaggio per mare: si fece loro schiavo, dormendo sulla nuda terra accanto ai più gravi per essere sempre pronto alle loro richieste. La cura dei malati, durante tutta la sua vita, sarebbe stata tra gli impegni principali del suo apostolato dovunque fosse andato. L’ altro sarebbe stato l’assistenza spirituale ai carcerati e, soprattutto, ai mercanti e ai soldati portoghesi, la cui condotta non era certo esemplare, poiché, oltre a essere preoccupati soltanto dei loro traffici di spezie, avevano organizzato veri e propri harem di donne indiane e malesi. Anche a Goa diede inizio al suo metodo di apostolato: percorreva le strade e le piazze, gridando ai bambini e agli adulti di venire in chiesa ad ascoltare le sue istruzioni. In chiesa cominciava con cantare le lezioni da lui stesso messe in versi, che faceva ripetere ai bambini. Poi spiegava ogni punto della dottrina, adoperando soltanto le parole che i suoi uditori potevano comprendere.

Francesco rimase a Goa soltanto cinque mesi. Fu quindi inviato a Capo Comorin, nel Sud dell’India, per catechizzare i paravas, una tribù indigena che praticava l’immersione in acque profonde alla ricerca di ostriche perlifere. La tribù parlava il tamil e Francesco, che non aveva il dono delle lingue, si fece tradurre in tamil il Credo, il Padre Nostro, l’Ave Maria e i 10 comandamenti e si mise a insegnarli ai bambini col metodo sperimentato a Goa. Il successo fu grande. Francesco scriveva a Ignazio, a Roma, che i bambini e i giovani, desiderosi di apprendere i rudimenti della fede lo assediavano a tal punto che non riusciva a trovare il tempo per recitare l’Ufficio, per mangiare e per dormire. Appena essi avevano imparato più o meno il Credo e le principali preghiere, Francesco li battezzava. Erano tanti che la mano di Francesco si stancava nell’ amministrare il battesimo. Egli comprese allora che a quei bambini “apparteneva il regno dei cieli”.

Francesco passò due anni tra i paravas in condizioni assai difficili: il cibo era scarso; dormiva poco, passando parte della notte in preghiera; era sempre solo; si spostava di villaggio in villaggio sotto un sole bruciante o sotto piogge a dirotto. Aveva grandi difficoltà col tamil e lo parlava male; ma il fuoco che sprigionava dalla sua persona, l’amore di Dio che infiammava ogni suo gesto, l’amore che nutriva per tutti, in particolare per i poveri, i malati e i bambini, gli attiravano molte anime semplici, che pur senza comprendere tutto quello che diceva, chiedevano di essere battezzate.

Francesco si trovava nel Sud dell’India, quando venne a sapere che una comunità di cristiani che si trovava nelle Molucche (l’odierna Indonesia) era senza sacerdoti e priva di ogni aiuto spirituale. Come Nunzio apostolico per tutto l’Oriente, si sentì in dovere di recarsi nelle Molucche per portare aiuto a quei cristiani abbandonati. Perciò il 1° gennaio 1545 s’ imbarcò per Malacca, che era il centro commerciale portoghese più importante, e di là raggiunse l’isola di Amboina, distante 1.740 miglia. Il viaggio dall’ India a Malacca e da Malacca ad Amboina fu particolarmente pericoloso, a causa delle tempeste, dei bassi fondali e dei pirati; ma Francesco era solito affrontare i peggiori pericoli con una totale fiducia in Dio. Giunto ad Amboina, vi restò tre mesi; poi partì per l’isola di Ternate.

Tornato a Malacca, sentì parlare per la prima volta di un paese chiamato Cipang, Giappone. Era un paese particolarmente disposto – riteneva Francesco – a convertirsi al Cristianesimo. Pensò perciò di dovervi andare. Dopo essere tornato a Goa per assegnare il lavoro ai nuovi gesuiti giunti dall’ Europa, Francesco partì per Malacca e di là s’ imbarcò su una giunca di un marinaio cinese che si era impegnato a condurlo in Giappone. Vi giunse il 15 agosto 1549, ma subito si rese conto che si era fatto molte illusioni sulla possibilità di convertire il Giappone. Non riuscì, infatti, a incontrare l’ imperatore dopo un viaggio a piedi a Miyako, che fu il più terribile della sua vita; fu deriso dai bonzi e, quando lasciò il Giappone, due anni dopo, soltanto 500 giapponesi si erano convertiti al Cristianesimo. Ma la porta era stata aperta.

La partenza fu determinata dalla convinzione che il Giappone si poteva convertire soltanto dopo la conversione della Cina, ma questo paese era proibito agli stranieri. Solamente qualche commerciante cinese avrebbe potuto introdurlo dietro compenso. Così, Francesco partì per la Cina e si fermò sull’ isola di Sancian, di fronte a Canton. Si era accordato con un mercante cinese, ma questi non si fece vedere. Era il mese di novembre 1552, e Francesco fu colto da una violenta febbre. Infreddolito e senza cibo, morì all’ alba del 3 dicembre, senza poter ricevere i sacramenti. Fu sepolto il giorno dopo, senza che sulla sua tomba fosse posta una croce. La sua fu una morte misera, ma non infruttuosa: proprio due mesi prima, era nato a Macerata colui che avrebbe aperto le porte della Cina al Cristianesimo e realizzato il sogno di Francesco Saverio: Matteo Ricci.

 

Lo stesso giorno nel Martirologio Romano, la Chiesa commemora:

– Commemorazione di san Sofonia, profeta, che nei giorni di Giosia, re di Giuda, preannunciò la rovina degli empi nel giorno dell’ira del Signore e confortò il popolo dei poveri e dei bisognosi nella speranza della salvezza.

– A Tangeri in Mauritania, nell’odierno Marocco, san Cassiano, martire.

– A Winchester in Inghilterra, deposizione di san Birino, che, mandato nella Britannia inferiore dal papa Onorio, tenne per primo la sede di Dorchester e divulgò con impegno tra i Sassoni occidentali il messaggio della salvezza.

– A Coira nell’odierna Svizzera, san Lucio, eremita.

– A Londra in Inghilterra, beato Edoardo Coleman, martire, che, per aver accolto la fede cattolica, falsamente accusato di cospirazione contro il re Carlo II, fu impiccato a Tyburn e sventrato con la spada mentre era ancora vivo.

– A Trento, beato Giovanni Nepomuceno De Tschiderer, vescovo, che governò questa Chiesa con evangelico ardore di fede e senso di umanità e in tempo di sventura offrì una mirabile testimonianza di amore per il suo gregge.

 

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