San Domenico di Guzman, sacerdote e Fondatore dei Predicatori

Il Fondatore dei Frati predicatori nacque nel 1170 a Caleruega, in Castiglia, da Felice di Guzmán e di Giovanna d’Aza, anche se non esistono testimonianze certe che discenda dalla nobile famiglia dei Guzmán. Dopo una prima educazione ricevuta da uno zio arciprete, sui 14 anni fu inviato a Palencia dove frequentò corsi regolari di arti liberali e di teologia, per un decennio. A contatto con le miserie causate dalle continue guerre e dalle carestie, dimostrò una grande carità verso i poveri, arrivando nel 1191 a vendere le proprie preziose pergamene per sfamarli. Terminati gli studi, a 24 anni entrò fra i canonici regolari della cattedrale di Osma e fu ordinato sacerdote. Le esperienze di vita regolare, di liturgia corale e di contemplazione perfezionarono la sua formazione.

L’evento per lui decisivo si ebbe quando il vescovo Diego di Acebes, nel 1203, inviato in missione diplomatica in Danimarca dal re Alfonso VIII di Castiglia per scortare una principessa promessa sposa di un principe spagnolo, chiese a Domenico di accompagnarlo. Durante il viaggio, entrambi vennero a contatto con due grandi pericoli per la cristianità di allora: il movimento ereticale dei Càtari (Albigesi), diffusosi soprattutto nella Francia meridionale, e la forte pressione delle popolazioni pagane dell’Europa nordorientale, tra cui quella dei Cumani le cui scorrerie avevano terrorizzato la Germania settentrionale. Di ritorno da un secondo viaggio in Danimarca, Diego e Domenico scesero a Roma per chiedere a Innocenzo III di dedicarsi all’evangelizzazione dei pagani, ma il Pontefice li orientò verso la predicazione nel sud della Francia tra i Càtari. Così, nel 1206, si recarono come missionari in Linguadoca e lì Domenico continuò il suo apostolato anche dopo la morte improvvisa di Diego, avvenuta il 30 dicembre 1207.

Gli eretici, predicando e dando l’esempio di una vita austera e povera, avevano buon gioco sul popolo a causa del lusso, dell’ignoranza e talvolta della vita dissoluta del clero, sostanzialmente contrario alla riforma voluta nel secolo XI da papa Gregorio VII. Per vincere, bisognava combattere i Càtari sul loro stesso terreno, associando alla predicazione povertà e austerità di vita; così avevano già cominciato a fare Diego e Domenico il quale poi imperniò il suo apostolato su dibattiti pubblici, colloqui personali, trattative, predicazione, opera di persuasione, preghiera e penitenza appoggiato dal vescovo di Tolosa, Folco di Marsiglia. Sempre in Linguadoca, a Prouille, egli aveva fondato un monastero in cui si accoglievano donne che avevano abbandonato il catarismo; intanto, attorno a lui si erano raccolti anche uomini che condividevano i suoi stessi ideali, e con essi egli maturò l’idea di dare alla predicazione del gruppo una forma stabile e organizzata.

Durante la sua permanenza a Tolosa, come ci racconta il beato Alano della Ripe, Domenico ebbe una visione della Vergine Maria che gli additò il rosario come la preghiera più efficace per combattere le eresie senza violenza. Da allora, il rosario si diffuse fino a diventare una delle più tradizionali preghiere mariane. Insieme a Folco nell’ottobre 1215 Domenico prese parte a Roma al Concilio Lateranense IV e sottopose il suo progetto a Innocenzo III che lo approvò. L’anno successivo, il 22 dicembre, fu il successore, Onorio III, a dare l’approvazione ufficiale e definitiva a quello che fu chiamato “Ordine dei predicatori”.

Il riconoscimento pontificio favorì una rapida crescita di vocazioni e già dal 1217 l’Ordine fu in grado di inviare frati in varie regioni d’Europa, soprattutto nella penisola iberica e nei principali centri universitari del tempo, a Parigi e a Bologna. Non mancarono opposizioni da parte dei vescovi locali, che però furono superate da una bolla papale datata 11 febbraio 1218, che ordinava a tutti i prelati di dare assistenza ai predicatori. Nel 1220 e nel 1221 Domenico presiedette a Bologna i primi due Capitoli Generali destinati a redigere quella che si può chiamare la Magna Charta dell’ordine, in cui ne vengono precisati gli elementi fondamentali, e cioè: predicazione, studio, povertà mendicante, vita comune, legislazione, distribuzione geografica e spedizioni missionarie. In particolare lo studio doveva esercitasi «di giorno e di notte». «in casa e in viaggio», come mezzo ascetico e in vista di una più efficace predicazione.

Terminato il secondo Capitolo Generale, Domenico riprese la missione anticàtara soprattutto nel Veneto e nelle Marche con un gruppo di compagni messigli a disposizione dal Papa, e con l’aiuto del cardinale Ugolino, vescovo di Ostia, fondò altri conventi a Brescia, Piacenza, Parma e Faenza. Ma la fatica e il caldo spezzarono la sua fibra già estenuata dalle continue penitenze (non mangiava carne e non beveva vino), costringendolo a tornare a Bologna dove morì il 6 agosto 1221, circondato dai suoi frati ai quali aveva rivolto l’esortazione «ad avere carità, a custodire l’umiltà e a possedere una volontaria povertà».

Attorno ai fianchi gli fu trovata una catena di ferro. Come già da vivo, anche dopo la morte si verificarono numerosi miracoli per intercessione di Domenico, ma i suoi confratelli, contrariamente a quanto avevano fatto i Frati Minori per san Francesco, non incoraggiarono affatto l’incipiente culto, anzi lo ostacolarono arrivando perfino a rimuovere e a spezzare gli ex voto per evitare che l’afflusso dei pellegrini impedisse il loro ministero. Il cardinale Ugolino, diventato papa Gregorio IX alla morte di Onorio III, li rimproverò per questo e il 3 luglio 1234 canonizzò Domenico a Rieti. Dal 1267 le reliquie del santo sono venerate a Bologna nella basilica a lui dedicata; l’arca che le contiene, scolpita da Niccolò Pisano, si è arricchita nel corso dei secoli di splendide aggiunte di importanti artisti (tra cui anche Michelangelo). A Roma, nel chiostro del convento di Santa Sabina sull’Aventino, è tuttora presente una pianta di arancio che, secondo la tradizione, san Domenico portò dalla Spagna. La popolarità del santo, anche per la diffusione del suo Ordine, è stata immensa, e assai numerosi i luoghi che lo hanno voluto come protettore; per l’Italia basti ricordare Bologna (di cui fu proclamato «Patrono e Difensore perpetuo della città») e Napoli. In occasione del VII centenario della sua morte, il 29 giugno 1921 papa Benedetto XV gli dedicò l’enciclica Fausto appetente die.

 

Lo stesso giorno nel Martirologio Romano, la Chiesa commemora:

– Ad Albano al quindicesimo miglio della via Appia, santi Secondo, Carpóforo, Vittorino e Severiano, martiri.

– A Roma al settimo miglio della via Ostiense, santi Ciriaco, Largo, Crescenziano, Memmia, Giuliana e Smaragdo, martiri.

– A Tarso in Cilicia, nell’odierna Turchia, passione di san Marino, anziano nativo di Ainvarza, che fu decapitato sotto l’imperatore Diocleziano e il governatore Lisia e il suo corpo, per ordine del prefetto, dato in pasto alle fiere.

– A Milano, sant’Eusebio, vescovo, che lavorò assiduamente per la retta fede e ricostruì la cattedrale distrutta dagli Unni.

– A Vienne nella Gallia lugdunense, ora in Francia, san Severo, sacerdote.

– A Bordeaux in Aquitania, sempre in Francia, san Mummolo, abate di Fleury.

– A Cizico in Ellesponto, nell’odierna Turchia, sant’Emiliano, vescovo, che molto patì da parte dell’imperatore Leone per il culto delle sacre immagini e morì, infine, in esilio.

– Nel monastero di Göttweig nel territorio dell’odierna Austria, sant’Altmanno, vescovo di Passau, che fondò numerose case di chierici sotto la regola di sant’Agostino, rinnovò la disciplina del clero e morì in esilio, scacciato dalla sua sede per aver difeso la libertà della Chiesa contro l’imperatore Enrico IV.

– A Gallese presso Viterbo, san Famiano, eremita, che, nativo di Colonia, distribuì i suoi beni ai poveri e, dopo sacri pellegrinaggi compiuti vestendo l’abito cistercense, morì in questo luogo.

– A Londra in Inghilterra, beato Giovanni Felton, martire, che, crudelmente dilaniato presso la cattedrale di San Paolo per avere affisso in pubblico la bolla di scomunica emessa dal papa san Pio V contro la regina Elisabetta I, compì gloriosamente il suo martirio invocando il nome del Salvatore.

– A York sempre in Inghilterra, beato Giovanni Fingley, sacerdote e martire, che sotto la stessa regina fu condannato a morte per il suo sacerdozio e condotto al patibolo. Insieme a lui si commemora anche il beato Roberto Bickendike, martire, che, nello stesso periodo, ma in giorno e anno ignoti, patì i medesimi tormenti per essersi riconciliato con la Chiesa cattolica.

– Nel territorio di Xixiaodun presso Xinhexian nella provincia dello Hebei in Cina, san Paolo Ke Tingzhou, martire, che, capo dei cristiani del luogo, durante la persecuzione scatenata dai fautori della setta dei Boxer, scarnificato pezzo dopo pezzo, fu per gli altri straordinario esempio di fermezza.

– A Zamóra in Spagna, beata Bonifacia Rodríguez Castro, vergine, che, impegnata nella promozione in campo cri- stiano e sociale delle donne attraverso la preghiera e il lavoro, istituì sul modello della Sacratissima Famiglia di Nazareth la Congregazione delle Serve di San Giuseppe.

– A Sydney in Australia, beata Maria della Croce (Maria Elena) MacKillop, vergine, che fondò la Congregazione delle Suore di San Giuseppe e del Sacro Cuore e la governò tra molteplici difficoltà e oltraggi.

– A Poggio a Caiano in Toscana, beata Maria Margherita (Maria Anna Rosa) Caiani, vergine, fondatrice dell’Istituto delle Suore Francescane Minime del Sacro Cuore per la formazione della gioventù e l’assistenza ai malati.

– In località El Saler vicino a Valencia in Spagna, beato Antonio Silvestre Moya, sacerdote e martire, che nel corso della persecuzione contro la fede raggiunse invitto il regno celeste per la sua ferma testimonianza data a Cristo.

– A Valencia, sempre in Spagna, beate Maria di Gesù Bambino Baldillou y Bullit e compagne, vergini dell’Istituto delle Figlie di Maria delle Scuole Pie e martiri, che nella stessa persecuzione sotto la violenza dei nemici della Chiesa andarono gloriosamente incontro a Cristo Sposo.

– In località Gusen in Germania, beato Vladimiro Laskowski, sacerdote e martire, che, in tempo di guerra, fu deportato per la sua fede in questo campo di prigionia e, crudelmente torturato, raggiunse la gloria del martirio.

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