San Sebastiano, martire

Nativo di Narbona, cittadino milanese, alto e stimatissimo ufficiale della guardia pretoriana di Diocleziano e Massimiano, Sebastiano è l’eroe della Militia Christi, come militare e come difensore della fede. Dalla Depositio Martyrum, nel Cronografo del 354, un almanacco che conteneva, fra l’altro, liste di santi con le date del loro martirio, conosciamo il giorno della sua morte: il 20 gennaio, e il luogo della sua inumazione in catacumbas, cioè le catacombe lungo la via Appia, sulle quali, nella prima metà del IV secolo, fu eretta la grande basilica cimiteriale di san Sebastiano, che allora era però chiamata ecclesia apostolorum. L’anno della morte è forse il 288, o più probabilmente il 303 o 304. Solo Ambrogio, fra tutti i Padri della Chiesa, menziona Sebastiano e il culto a lui dedicato, che già dalla metà del IV secolo doveva essere ben sviluppato, almeno nell’Urbe. Le gesta e la passione del miles Christi sono narrate in un testo agiografico del V secolo, opera di un chierico sconosciuto, e talvolta, inverosimilmente, attribuita a sant’Ambrogio.

Sebastiano è dunque a Milano, comandante della prima coorte pretoriana, di fatto la guardia del corpo imperiale, tanto stimato da Diocleziano e da Massimiano, che i due regnanti ne reclamano continuamente la presenza. Ignorano però che il loro favorito è cristiano. Egli dissimula la sua fede per meglio recare conforto ai correligionari perseguitati e rinsaldare la loro volontà di martirio a testimonianza del loro credo, quando, sotto i tormenti, questa vacilla. Narra Jacopo da Varagine nella sua Legenda aurea – una compilazione di vite dei santi, scritta verso la fine del XIII secolo, celeberrima nel Medioevo – che una volta Sebastiano si trovava nel carcere in cui erano tenuti prigionieri i gemelli Marco e Marcellino, condannati a morte a causa della loro professione di cristianesimo. Si presentarono i genitori disperati che, con parole ardenti, supplicavano i figli di salvare la propria vita. Questi erano sul punto di cedere, quando l’ufficiale intervenne con autorità, ripristinando in loro la saldezza del cuore verso la gloria della vittoria sulla menzogna e la salvezza nella vita eterna. Egli apparve ai presenti, circonfuso di luce e circondato da sette luminosissimi angeli, per un’ora intera. Allora Zoe, moglie di Nicostrato, funzionario nella cui casa i due giovani erano tenuti prigionieri, si gettò ai piedi del santo impetrando il perdono a gesti, perché era muta. Sebastiano allora gridò: “Se io sono il servo di Cristo, e se sono vere le parole che ha detto Colui che aprì la bocca di Zaccaria, si apra la bocca di questa donna”. E subito la muta gridò: “Siano benedette le tue parole e benedetti coloro che vi prestano fede. Ho visto un angelo con un libro davanti a te dove stava scritto quanto dicevi”.

Nicostrato, udita la moglie parlare, si gettò anch’egli ai piedi del santo, e liberò subito i martiri imprigionati. Ma Marco e Marcellino, rafforzati nella volontà di martirio dalle parole di Sebastiano, rifiutarono di andarsene, mentre i genitori e molti altri si facevano battezzare dal prete Policarpo. Sebastiano fu in seguito denunciato agli imperatori. Comparso dinanzi a Diocleziano che, adirato, lo rimproverò di avere tradito la sua fiducia, l’ufficiale dichiarò di avere anzi pregato Dio per la salvezza di Roma. L’imperatore lo condannò a morire per mano degli arcieri in mezzo al Campo di Marte. Il suo corpo tutto trafitto di frecce fu abbandonato sul terreno e dato naturalmente per morto; ma pochi giorni dopo, l’imperatore, stupefatto, se lo vide comparire dinanzi, aspramente rimproverante tutto il male fatto ai cristiani. Questa volta Diocleziano comandò che venisse frustato a morte, e così fu fatto, e il suo corpo gettato in una cloaca, perché non divenisse oggetto di venerazione per i cristiani. La notte dopo il santo apparve a santa Lucia, le rivelò dove fosse e le ordinò di seppellirlo accanto alle tombe degli apostoli.

Narra la Legenda aurea che nella storia dei longobardi si legge di una terribile peste che colpì in particolar modo le città di Roma e di Pavia, e fu rivelato che il morbo non sarebbe cessato se non fosse stato eretto un altare a san Sebastiano, nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Pavia. Non appena l’altare fu eretto e consacrato, il morbo finì. Sebastiano, santo militare, divenne ben presto uno dei patroni della città di Roma. Si sviluppò un importante culto attorno alla basilica costruita sulle catacombe, estesosi poi a altri luoghi della città, con la costruzione di nuove chiese, in genere nei luoghi menzionati nella Passione di san Sebastiano. Nel X secolo si trovava, forse, una chiesa intitolata al santo sul Colle Palatino, al posto dell’antico tempio di Eliogabalo, sulla cui scalinata Sebastiano si era erto a accusatore di Diocleziano. Fuori di Roma il culto di san Sebastiano si diffuse grazie alla distribuzione delle reliquie nell’Africa romana, in Spagna, in Gallia e in Germania. Il santo martire veniva invocato soprattutto contro la peste, sebbene nulla, nella Passione, giustifichi questa attitudine. Probabilmente fu la leggenda del miracolo di Pavia il punto d’inizio di questa devozione. Le frecce che trafiggono il santo ne hanno fatto il patrono degli arcieri, balestrieri, archibugieri, ma anche, non si sa bene perché, dei tagliatori di pietre, dei tappezzieri, dei fabbri, dei pompieri e dei giardinieri.

 

Lo stesso giorno nel Martirologio Romano, la Chiesa commemora:

San Fabiano, papa e martire, che da laico fu chiamato per grazia divina al pontificato e, offrendo un glorioso esempio di fede e di virtù, subì il martirio durante la persecuzione dell’imperatore Decio; san Cipriano si felicita del suo combattimento, perché diede una testimonianza irreprensibile e insigne nel governo della Chiesa; il suo corpo in questo giorno fu deposto a Roma sulla via Appia nel cimitero di Callisto.

– Ad Antinoe nella Tebaide, in Egitto, sant’Ascla, martire, che al cospetto del governatore non temette le minacce, perché la sua più grande preoccupazione era quella di non rinnegare Cristo, e dopo torture di vario genere fu gettato nel fiume.

– A Nicea in Bitinia, nell’odierna Turchia, san Neófito, martire.

– In Palestina, sant’Eutimio, abate: di origine armena e consacrato a Dio fin dall’infanzia, giunse a Gerusalemme e, trascorsi molti anni in solitudine, fu fino alla morte saldo e solerte nell’umiltà e nella carità, insigne nell’osservanza della disciplina.

– A Worcester in Inghilterra, san Vulfstano, vescovo, che elevato dal chiostro a questa sede episcopale, unì i costumi monastici allo zelo pastorale, dedicandosi con impegno a visitare le parrocchie, promuovere la costruzione di chiese, favorire le lettere e condannare la venalità.

– A Coltibuono in Toscana, beato Benedetto Ricásoli, eremita della Congregazione di Vallombrosa.

– In Finlandia, sant’Enrico, vescovo e martire, che, nato in Inghilterra, ebbe l’incarico di reggere la Chiesa di Uppsala, adoperandosi con grande zelo nell’evangelizzazione dei Finni; fu, infine, crudelmente trucidato da un omicida, che egli aveva cercato di correggere secondo la disciplina ecclesiastica.

– A Messina, santa Eustochio Calafato, vergine, badessa dell’Ordine di Santa Chiara, che si dedicò con grande ardore a ripristinare l’antica disciplina della vita religiosa e a pro- muovere la sequela di Cristo sul modello di san Francesco.

– A Seul in Corea, santo Stefano Min Kukka, martire, che, catechista, fu sgozzato in carcere per la sua fede cristiana.

– A Casoria vicino a Napoli, beata Maria Cristina dell’Immacolata (Adelaide) Brando, vergine, che dedicò la sua vita alla formazione cristiana dei fanciulli e attraverso la Congregazione delle Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramento da lei fondata promosse fortemente l’adorazione della santa Eucaristia.

– Nel monastero di Mount Saint Bernard presso Leicester in Inghilterra, beato Cipriano (Michele) Iwene Tansi, sacerdote dell’Ordine cistercense: nato nella regione di Onitsha in Nigeria, ancora fanciullo professò, contro la volontà della famiglia, la fede cristiana e, ordinato sacerdote, con grande zelo si dedicò alla cura pastorale, finché fattosi monaco meritò di coronare la sua santa vita con una morte santa.

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